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A mio papà (I)




C’era il tempo dei giorni, fluido e poi denso, eppure certo nel suo movimento, liturgico nel suo ripetuto annuncio. C’erano le ore scavate nella nostra corteccia, guscio di vita e stele di coraggio, e le feste silenziose, quegli istanti sospesi e pieni di sguardo, benevolo e sereno il tuo, amorevole e confidente il mio. Le nostre parole prima delle parole, oltre ogni pensiero, sulla linea immateriale che, legandoci, vinceva ogni profezia. Perché il voler bene gioca sempre d’anticipo, è presentimento.



Ora vorrei entrare nel tuo immacolato archivio di saggezza e vedere a scansione la mia vita, per il tempo che è stato e per quanto ancora sarà concesso. Prendere la tua speranza e cucirmela addosso, pelle di pelle e derma di generazioni, perché nel sangue già scorre quell’ostinata caparbietà che in origine è sgorgata dalle acque del Tagliamento. Saturarmi di onestà, libera da condizioni, e rispondere al mondo con voce franca, immediata: non ci sono pause al cospetto delle illusioni. Intonarmi alla certezza che resiste al dubbio, oltre i confini dell’umano, ed educare la mia mente ad un atto di semplice resa.



Marzo sta per finire.

È il tuo mese e perciò continua a scandire il passo su questo nuovo segmento che ora mi appartiene.

 

 

 
 
 

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