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Writer's pictureCristina Costantini

I miei anni 70 (III)

Updated: Feb 2, 2021



Pace.

Fino ad allora non l'avevo cercata perché mi era quotidianamente concessa.

Vivevo in un ecosistema domestico perfetto, senza ombre né suture. Respiravo ossigeno pieno, che dava a cose e persone il sapore di montagna. Ridevo di pancia, giocavo incantata con il mondo.

Quel giorno, però, sul tavolo della storia era scesa la carta matta. Un joker sanguinoso era spuntato dal mazzo ed io l'avevo ricono­sciuto. Difficile nominare l'ignoto, anche se mi divertiva creare parole.

Ero rimasta ferma, davanti alla finestra, con gli occhi immobili, specchio umido a riflettere l'inquietudine venuta a spezzare la linea secca dell'asfalto per farne onda, per

produrre suono.

Anche in città era marea. Bandiera rossa.

Come al Gabbiano, i bagni di una vita a Chiavari, quando quel drappo di stoffa pareva impazzito contro il vento, si contorceva, sogghignava e feriva del suo colore l'occhio blu di mare e cielo.

Non si scendeva: vietato scendere.

Così, ora, rimanevo al terzo piano.

Era come se il bagnino avesse ritirato la scala della scuola.

Forse anche la strada, come la spiaggia, iniziava a contrarsi.

Il tempo fluiva congelato. Era diventato realtà solida, mentre tutto, intorno, sembrava essersi liquefatto.

La campanella metallica rimaneva muta; non poteva dare voce ad alcun inizio.

Il periodare quotidiano era stato spezzato da un punto. Mancava la prima parola di una frase nuova. Mancava la maiuscola: tutte le lettere s'erano fatte minuscole.

Anche i colori erano cambiati. Liberati da un guanto senza impronta, fuoriuscivano dalla

bolla di confidente tranquillità in cui erano stati trattenuti per disperdersi annacquati.

Al contrario, un caschetto biondo, che ora prendeva a scompigliarsi, rimaneva catturato in una cornice a bordo largo, unica nota chiara di una Polaroid desaturata.

Volevo essere coraggiosa. Una mia ambizione che - ammetto - non è mai venuta meno. Perciò, trattenevo la paura, così come avevo imparato a trattenere la febbre.

Per farlo, scrivevo e disegnavo; il freddocaldo passava senza prendere Aspirine o Nevral. Come in questo momento, mentre faccio i conti con il mio prossimo mezzo secolo di vita.

Mi piaceva sfumare sul foglio nero.

All'epoca si temperavano le matite e poi si sperdeva­no i trucioli sulla superficie manualmente, con le dita.

Mani arcobaleno negli anni di piombo.

Lo feci anche quel giorno.

Nello spazio vuoto dell'aula, presi l'album rettangolare e l'astuccio metallico, salvadanaio d'ogni tinta.

Forme su linee. Melange di stasi.

Forse funamboli, maghi sospesi tra terra e cielo.

O, più realisticamente, esseri umani, spiriti contaminati in cerca d'un punto di equilibrio, d'un centro di gravità tra toni chiari e scuri.



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