Lo scudo di Achille è sceso nel fuoco della storia.
Riplasmato, parla di una nuova divisione. Non è solo la città ad avere un doppio volto, di pace e guerra, di gesti rituali ed eventi eroici. È lo spazio stesso della casa ad essere inciso: un solco è stato tracciato tra conservazione e perdita, riparo e paura, libertà e restrizione.
La forza anomica di un virus ha vinto la vertigine dell’Uno.
La vita si è lacerata quando ha dovuto testimoniare la possibile impossibilità di una naturale comunione di amore. La più intima delle decisioni private, situata nella soglia tra vita e morte, è stata sospesa contro un destino che ormai sembrava tracciato nel segno della sua sovrana irrinunciabilità.
Torna a porsi la problematica relazione tra polis ed oikos, resa di nuovo mobile per effetto di reciproche estensioni (del fuori verso il dentro) ed escrescenze (del dentro verso il fuori).
Non solo. C’è qualcosa di più, che va oltre alle cicliche metamorfosi cui è storicamente soggetto il corpo del Leviatano.
Il ritorno della carica aggressiva insita in ogni fenomeno di contagio ha fatto riemergere la forza del limite.
Un mondo che si era pensato fluido e connesso si è reinventato come agglutinato ed escludente.
Una consapevolezza improntata al soddisfacimento di ogni impossibile desiderio ha ceduto di fronte alla possibilità di una fine non preannunciabile.
Una ritualità domestica, che confondeva l’essenzialità con una non stimolante abitualità, si è trovata a gestire la non eccitante esuberanza di una scansione improntata ad un ritmo d’eccezione.
Il limite era lì, immobile ma vivo, sottostante ma pronto a riemergere quale parto primogenito della natura che, come l’antica saggezza eraclitea ricorda, è vera nella misura in cui ama nascondersi. Dunque è fuoriuscito dalla cripta in cui ha dimorato, per rendersi visibile in una delle sue edizioni più grottesche.
Nella privatezza di ogni casa il giorno è tornato ad essere lo spazio chiaro tra due notti ontologiche.
Un umanesimo demiurgico si è confrontato con un agente patogeno; all’esito è sprofondato nell’irriducibile mistica del limite.
La ri-creazione di una nuova socialità richiede una ricomposizione della sostanza dell’oikia, del luogo privato in cui la compartecipazione del limite giunga a trasfigurare il germe del contagio in seme di comunione.
Il limite, forse, ci ha ec-cepiti. La speranza è che ci abbia e-ducati. Tratti fuori dalla presunta norma del vivere, a partire dal suo intimo gesto privato.
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